Michael Brooks, sulla prestigiosa rivista inglese “New Scientist”[1], ci ricorda come i pesci possano contare su una vera e propria “intelligenza collettiva”: ogni pesce reagisce al comportamento del proprio vicino, e il branco può cambiare direzione e velocità fino a quindici volte più rapidamente di quanto possa fare un singolo pesce.

Il fatto che una massa di “sensori” sia in grado di esibire comportamenti “emergenti”, cioè non spiegabili in base alle leggi che governano il comportamento del singolo, è ormai una certezza talmente consolidata da permettere l’applicazione di nuove leggi ai più svariati settori: nella robotica, ad esempio, potrebbe semplificare il compito di programmare una serie di sensori mobili, perché ognuno di essi potrebbe avere capacità relativamente essenziali, ma tutti assieme potrebbero svolgere compiti assai complessi.

Chi vieterà in futuro gli Infomediari di connettere, collegare tra loro, Corpi Digitali differenti – i nostri – per aumentare la potenza di fuoco di dati appetibili per aziende a scopo di profitto?

I nostri ricordi, i nostri gusti, le preferenze politiche, religiose, sessuali – tutte informazioni che abbiamo già “venduto” ai Social Network in cambio di una password gratuita di accesso a una piattaforma di socializzazione – incrociati e mixati per tipologia, dialoganti tra loro a nostra insaputa, o a prescindere dalla nostra volontà e dal nostro consenso, che abbiamo peraltro già dato, cliccando sulla casella di autorizzazione al più ampio trattamento di tutti i nostri dati personali.

Parti del nostro Digital Body “amputate” e date in prestito al miglior offerente: ecco un’altra violenza digitale del III millennio.

Un problema invece già drammaticamente attuale – con risvolti non solo commerciali, ma anche sociali e filosofici – è quello della “sedazione” dei Corpi Digitali.

Come modernissimi spacciatori di droga, o raffinati neurochirurghi del mondo virtuale, i gestori delle piattaforme Social “anestetizzano” a loro piacimento un numero impressionante di Digital Body, sedandoli e impedendogli di svolgere quella che è la loro funzione principale, il motivo stesso per il quale sono stati creati: socializzare.

Come ha spiegato Giuliano Ambrosio[2] in un suo articolo, Facebook durante gli anni ha cambiato a più riprese il suo algortimo, l’Edgerank, che regola la visualizzazione di notizie all’interno della homepage di Facebook di tutti gli utenti.

Questi cambiamenti hanno influito molto sulla visualizzazione dei contenuti proveniente dalle pagine che gli utenti avevano dichiarato di voler seguire, cliccando “Mi Piace” sulle stesse.

Molte aziende e personaggi pubblici hanno infatti improvvisamente visto diminuire interazioni e visualizzazioni sui propri contenuti divulgati tramite Facebook. Motivo? L’algoritmo appunto “manipola” la vita dei nostri Digital Body, bloccando la divulgazione dei contenuti, e permettendo ad essi di raggiungere un quantità di iscritti alla tal pagina che ottimisticamente non supera il 7% di chi ha manifestato espressamente la propria intenzione a mantenersi informato su quel canale.

Soluzione? Pagare, of course. Facebook obbliga infatti i titolari delle pagine ad aumentare la frequenza delle campagne di annunci pubblicitari a pagamento, per ottenere quella visibilità che prima era organica e gratuita. Maggiore l’investimento pubblicitario, maggiore la percentuale di utenti iscritti che – magicamente – vedranno sul proprio News Feed i contenuti desiderati.

C’è chi parla di truffa, chi di modello di business orientato compulsivamente al profitto – ci stupiamo? Siamo in USA, bellezza… – chi ancora urla al tradimento del web libero, dove le notizie circolavano senza restrizioni di sorta.

Facebook ha risposto alle critiche dichiarando la propria volontà di mostrare nel News Feed degli utenti più contenuti in base ai loro veri interessi e interazioni, aumentando il peso attribuito dall’algoritmo alla “quantità e qualità” – quindi non solo Like, ma anche commenti e condivisioni – delle interazioni.

La “droga anestetizzante” verrà quindi spacciata ai nostri Digital Body con maggiore moderazione, in futuro. Forse.

Non secondo Giulio Terzi, il diplomatico italiano che ha fatto della comunicazione social un proprio punto di forza, e che commentando questi dati ha dichiarato: “Siamo esattamente sulla strada dei Subprime mortgages del 2007/2008, con identici meccanismi di “inducement”, e di assoluta opacità mascherata dai bei diagrammi al solo scopo di attrarre ancor più pubblicità. La copertura effettiva al 7% del totale Likes secondo me è anche grossolanamente sovrastimata: da utilizzatore assiduo di Twitter ho notato – esattamente da fine 2014, quando TW ha iniziato a registrare cali nei profitti e necessità di tecniche ancor più aggressive di marketing – l’avvio di una campagna massiccia di “promozioni” dei TW. Se vai sulla loro pagina ufficiale puoi leggere che in poche parole garantiscono un follower in più ogni 3-5 euro di spesa, nero su bianco. Siamo dinnanzi a un’evoluzione dei Social a favore di chi può pagarsi la visibilità, e pur con qualche eccezione dove la creatività riesce a rompere il muro degli algoritmi, la diffusione non a pagamento confina chiunque in una pozzanghera dove pochissimi ti vedono. I Social sono ormai organizzati secondo la legge dell’oligopolio, ed entriamo probabilmente in un’era dove essi costituiscono un ulteriore dinamica di frammentazione di Internet, perchè la “circuitazione” controllata dai gestori, in un contesto dove la communis opinion la ritiene invece libera e trasparente, crea linee di comunicazione selettive e ben differenziate. Dopo la “stagione della libertà”, durata forse un decennio, i poteri forti – in questo caso i gestori dei social e la finanza che sta loro dietro, assolutamente pervasiva e sempre più affamata di dividendi – riprendono tutto lo spazio che gli “utenti” pensavano essere loro dominio incontrastato. Sono così fuori strada, in quest’analisi?”.

Per nulla, Ambasciatore. Purtroppo.

 

 

[1] inserire titolo originale[2] Fonte LOCOWISE: “Facebook page reach study February 2015: Link posts get biggest organic reach, videos getting more prominent for larger pages”. Un articolo su questo aspetto è disponibile alla URL http://locowise.com/blog/facebook-page-reach-study-february-2015